Da amante a rivale: la violenza emotiva in Fair Play Samanta Santoro, Aprile 1, 2024Aprile 4, 2024 Il film Fair Play, targato Netflix, potrebbe sembrare inizialmente una banale storia d’amore tra due giovani innamorati, Emily e Luke, assettati di futuro e ambizioni lavorative. Tuttavia, è un film in cui si possono facilmente rilevare diverse forme di violenza. La coppia è in procinto di fare un passo avanti nel loro rapporto e tutto sembra andare per il verso giusto. Fin quando Emily non ottiene una promozione nell’azienda in cui lavora anche Luke. Luke, anche lui ambizioso, aspettava una promozione, mai arrivata. Ed è questo che ha portato al declino emotivo di quest’ultimo verso la sua amata, che improvvisamente, è diventa sua nemica. Nemica del suo ego. Una promozione che darà vita a quello che nel film viene definito ”gioco”, ma che nella vita reale definiremo violenza di genere. Breve analisi del film Dalla promozione di Emily inizia il film – la vera narrazione cinematografica che mette in evidenza una realtà ancora ben presente nella nostra società: la mascolinità tossica e la supremazia maschile. Un surplus di comportamenti tossici e violenti, alimentati da ciò che nella letteratura femminista chiamiamo mascolinità tossica, ovvero, la paura di non essere considerato un vero uomo agli occhi degli altri – generata dal successo lavorativo ed economico della protagonista. Luke – carico di risentimento e frustrazione – non accetta che la propria ragazza, una donna in gamba, sia diventata il suo capo. Questo elemento è la radice del problema, che apre lo sguardo a un’altra caratterista della disparità di genere: la supremazia maschile, ovvero, l’idea che gli uomini sono superiori alle donne in ogni ambito, credenza utilizzata per giustificare la subordinazione delle donne. Infatti, nel film è evidente come Luke consideri inferiore Emily. Basta prestare attenzioni ai primi atteggiamenti, alimentati da sguardi e conversazioni ben conosciute nel panorama della violenza di genere. FASI DELLA VIOLENZA Evitamento emotivo e fisico, accompagnato da silenzio punitivo. Allontanamento e estraneità dal partner. Critiche sul vestiario – ”Ti vesti come una bambolina’‘ – fino ad utilizzare slur misogini ( Sono appellativi, noti come “slur” (insulto) misogini creati ad hoc per marginalizzare, per tenersi lontani da certi tipi di donna. Mettono in atto una dinamica di potere dove chi insulta fa scendere l’altro/a di un gradino – Citazione di Valeria Fonte). Insinuazioni – sul perché ha ottenuto la promozione e come l’ha ottenuta, alludendo che abbia fatto dei favori sessuali al proprio capo. Manipolazione che ha generato senso di colpa e sottomissione. Violenza verbale e pubblica con l’intento di rovinare la carriera dell’amata. Violenza fisica e sessuale – deumanizzazione della donna con l’intento di riacquistare potere. Fair play è la rappresentazione cinematografica di ciò che avviene – o avverebbe – in molti casi se le donne ottenessero posti di lavoro ambiti e di potere a discapito del proprio partner. Il finale inaspettato e le reazioni della protagonista durante ogni scena le lasciamo scoprire a voi lettori. Statistiche lavorative sulle donne Il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità.Complici anche gli stereotipi riguardo al lavoro familiare e di cura, si ritrovano più spesso inattive: una condizione che riguarda il 30,5% delle donne europee, quasi 10 punti percentuali più degli uomini. Oppure sottoccupate, costrette a lavorare meno tempo per dare spazio alle attività domestiche. Statistiche europee Anche nell’Unione europea, dove da molti anni ormai vengono implementate strategie per appianare le differenze di genere, i divari non sono scomparsi. L’Italia è uno dei paesi in cui si registra la differenza più marcata tra il tasso di occupazione di uomini e donne, ma non esiste stato membro che non riporti un divario di questo tipo. Le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Nonostante la graduale emancipazione delle donne nella società, persiste il fenomeno di una maggiore partecipazione maschile al mondo del lavoro. Lo dimostrano i dati: nell’Unione europea risulta occupato l’80% della popolazione maschile in età lavorativa, contro il 69,3% di quella femminile. Il lavoro per le donne con figli Come raccolto da Eurostat(2021), per quanto riguarda un intervallo di età compresa tra i 25 e i 54 anni, nelle donne con figli, la percentuale lavorativa scende al 49,1%, un calo del 12% rispetto al 61,1% delle donne senza figli. Invece, è interessante notare che per gli uomini si verifica il fenomeno opposto: gli uomini con figli hanno un tasso di occupazione più elevato (90,1%) rispetto a quelli che non ne hanno (81,1%) e lavorano meno frequentemente part-time. Le madri, oltre a essere quelle con il tasso di occupazione più basso, sono anche la categoria che presenta l’incidenza più marcata di lavoro a tempo parziale (più del 23%). Esiste anche il lavoro domestico, che non viene ufficialmente riconosciuto né pagato. Come rileva l’Ocse, le donne trascorrono mediamente 2,5 volte il tempo trascorso dagli uomini nella gestione della casa e dei figli. 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